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Il carcinoma della prostata

Il tumore della prostata e attualmente la neoplasia più frequente tra i soggetti di sesso maschile e rappresenta circa il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. L’incidenza del carcinoma prostatico ha mostrato negli ultimi anni una costante tendenza all’aumento, particolarmente intorno al 2000, in concomitanza della maggiore diffusione del test del PSA quale strumento per la diagnosi precoce dei casi prevalenti. La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico, non considerando la mortalità per altre cause, e attualmente attestata all’88% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita.

I fattori causali rimangono ancora sconosciuti anche se nel corso degli ultimi anni importanti conquiste sono state conseguite nell’ambito della ricerca molecolare. Fra i fattori di rischio per lo sviluppo di un tumore alla prostata, uno dei più universalmente riconosciuti è la familiarità per carcinoma prostatico (almeno un parente di primo grado affetto da neoplasia prostatica), anche se questa spiega l’insorgenza di un 9% circa di carcinomi prostatici. L’incidenza del carcinoma della prostata aumenta progressivamente con l’età, essendo il 50% dei casi riscontrato in soggetti di età superiore ai 70 anni.

Al momento della diagnosi, sia il carcinoma allo stato iniziale, sia quello in fase avanzata, possono essere asintomatici. I sintomi, se presenti (mitto ipovalido, pollachiuria, urgenza minzionale, nicturia, disuria fino alla ritenzione urinaria completa) sono comunque aspecifici e spesso sono da riferirsi alla presenza di un’altra patologia di natura benigna, come ad esempio l’ipertrofia prostatica. La diagnosi del carcinoma prostatico prevede una visita urologica con l’esplorazione rettale, la valutazione del dosaggio ematico del PSA e dell’ecografia prostatica transrettale; in considerazione dell’insieme di questi fattori, l’urologo può decidere di porre l’indicazione per eseguire una biopsia prostatica ecoguidata, unico strumento per effettuare una diagnosi certa di carcinoma della prostata. Considerata l’elevata incidenza del tumore prostatico nei pazienti con piu’ di 50 anni e l’aspecificità o assenza della sintomatologia è opportuno sottoporsi a controlli periodici annuali.

Il tumore della prostata viene classificato in base al grado, che indica l’aggressività della malattia, e allo stadio, che indica invece lo stato della malattia. A seconda della fase in cui è la malattia si procede anche a effettuare esami di stadiazione come TC (tomografia computerizzata) o risonanza magnetica. Per verificare la presenza di eventuali metastasi allo scheletro si utilizza spesso la scintigrafia ossea. La Pet è un ulteriore esame disponibile per la ricerca di metastasi a distanza ma si tratta di una metodica ancora sotto studio.

L’analisi istologica dei prelievi bioptici assegna al tumore il cosiddetto grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l’aspetto delle ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso sarà il grado di Gleason. I tumori con grado di Gleason minore o uguale a 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di alto grado.

Per definire invece lo stadio al tumore si utilizza in genere il sistema TNM (T =tumore), dove N indica lo stato dei linfonodi (N) e M la presenza di metastasi (M). Per una catterizzazione completa dello stadio della malattia a questi tre parametri si associano anche il grado di Gleason e il livello di PSA.
La correlazione di questi parametri (T, Gleason, PSA) consente di attribuire alla malattia tre diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto rischio.

Le opzioni terapeutiche a disposizione per il trattamento della prostata sono molteplici e comprendono la prostatectomia radicale (intervento chirurgico “a cielo aperto”, laparoscopico o robot-assistito), la radioterapia (RT esterna o brachiterapia) e l’ormono-terapia. A queste opzioni si aggiungono la “vigile attesa” e la “sorveglianza attiva”. La prima è indicata solitamente in pazienti molto anziani o con comorbidità associate per le quali è preferibile non intervenire “attivamente” con interventi chirurgici o radioterapia.

La sorveglianza attiva, invece, rappresenta una opzione che si sta diffondendo negli ultimi anni. Essa è indicata in casi di carcinoma a basso grado che rispondono a dei criteri di selezione molto precisi stabiliti dalle linee guida delle principali società urologiche. La sorveglianza attiva si fonda sul concetto che alcune forme di tumore prostatico hanno un andamento molto lento e difficilmente progrediscono. Essa si basa su uno stretto monitoraggio clinico che comprende la visita urologica, il dosaggio del PSA e talvolta la ripetizione della biopsia.

La prostatectomia radicale consiste nella rimozione dell’intera ghiandola prostatica, delle vescicole seminali e dei linfonodi della regione vicina al tumore. Se il tumore è confinato alla prostata l’intervento è considerato curativo. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l’intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (“a cielo aperto”), per via laparoscopica, o attraverso il sistema più moderno della laparoscopia robot-assistita.

La laparoscopia è una tecnica operatoria che consente di eseguire l’intervento senza effettuare il classico taglio. Tale tecnica è resa possibile da una telecamera che proietta l’immagine del campo operatorio su un monitor e da particolari strumenti, lunghi e sottili, che passano all’interno di piccole cannule del diametro di 5 e 10 mm, inseriti nell’addome attraverso piccoli fori dello stesso diametro. I vantaggi dimostrati da questa tecnica sono dovuti alla migliore visione dei dettagli anatomici e alla minore invasività, che comportano incisioni più ridotte, minor sanguinamento, minor rischio di trasfusioni di sangue, più rapido recupero post- operatorio e più rapido ritorno alle normali attività quotidiane.

Il perfezionamento di questa procedura chirurgica e l’introduzione della tecnica “nerve- sparing” hanno consentito di ridurre il tasso di incontinenza e di impotenza post-operatorie.
Nei tumori in stadi avanzati vi può essere la necessità di associare trattamenti come la radioterapia o l’ormonoterapia.

Per la cura della neoplasia prostatica, nei trattamenti considerati standard, è stato dimostrato che anche la radioterapia a fasci esterni è efficace nei tumori di basso rischio, con risultati simili a quelli della prostatectomia radicale. Un’altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell’inserire nella prostata piccoli “semi” che rilasciano radiazioni.

Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico, a differenza di quanto accade in altri tumori, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia ormonale. Questa ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone – ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata – ma porta con sé effetti collaterali come calo o annullamento del desiderio sessuale, impotenza, vampate, aumento di peso, osteoporosi, perdita di massa muscolare e stanchezza.

Tra le tecniche conservative si annoverano la crioterapia (eliminazione delle cellule tumorali con il freddo) e HIFU (ultrasuoni focalizzati sul tumore).

Il carcinoma della prostata